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La natura è da sempre la principale fonte di ispirazione per gli studi scientifici. «Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata», sosteneva Albert Einstein, e questa linea di pensiero è stata abbracciata, ultimamente, anche dai campi dell’architettura e del design. Comprendere i meccanismi di funzionamento degli organismi viventi applicandoli alle creazioni umane consente di sviluppare soluzioni che riescono non solo a limitare l’impatto ambientale di prodotti e sistemi, ma anche di migliorarne prestazioni e reazioni in un’ottica di maggiore adattabilità. Lo studio e l’imitazione della natura sono stati resi possibili negli ultimi anni dalle evoluzioni tecnologiche sviluppate: linguaggi di programmazione e codificazione, modelling e stampa 3D (tre dimensioni) consentono di riprodurre in modo fedele funzionamenti e strutture cellulari degli organismi, così come i sistemi di organizzazione e di adattamento evolutivo tipici degli habitat naturali. È questo il campo in cui si muove la biomimetica, una scienza relativamente giovane, che esprime il nesso fra biologia e tecnologia, dove la prima rappresenta il modello primordiale a cui tendere e la seconda il mezzo con cui riprodurne il funzionamento in materiali e strutture.

Biomimetica: si parte dalle piante

Uno dei principali guru della biomimetica è la statunitense Janine Benyus, fondatrice del Biomimicry 3.8 Institute di Missoula, nel Montana, un’organizzazione dedicata alla formazione e alla divulgazione del sapere biomimetico. Il termine “biomimicry”, entrato nel dizionario solo nel 1974, indica il trasferimento di processi biologici dal mondo naturale a quello artificiale: “mimando” i meccanismi che governano la natura, l’uomo può, infatti, trovare la soluzione ad innumerevoli problemi.

Le applicazioni di questo principio sono molte ed affascinanti. Si può, in un certo senso, affermare che il primo ad applicare la biomimetica fu Leonardo, che nei suoi studi sulle macchine volanti prendeva ad esempio il volo degli uccelli. Ma la prima vera applicazione della biomimetica fu il tetto del Crystal Palace di Londra, costruito su progetto dell’architetto e botanico Joseph Paxton a metà del Diciannovesimo secolo ed ispirato ad una pianta appartenente alla famiglia delle meravigliose ninfee (Nymphaeaceae), la Victoria Amazonica (Victoria amazonica Sowerby). L’edificio, purtroppo distrutto da un incendio negli anni Trenta, venne dotato di una struttura estremamente leggera, che massimizzava l’esposizione al sole proprio grazie all’esempio delle foglie di ninfea.

Ma ci sono innumerevoli altri esempi.

Velcro

 

Tra i prodotti storici nel campo della biomimetica c’è il velcro, nato imitando il funzionamento dei frutti della Lappola (Articum lappa L.), nota anche come Bardana, dotati di minuscoli uncini per attaccarsi ai tessuti. Inventato nel 1941 dall’ingegnere svizzero George de Mestral, egli si ispirò ai piccoli fiori che si attaccavano saldamente al pelo del suo cane ogni volta che lo portava a passeggio. Analizzandoli al microscopio, de Mestral notò che ogni petalo presentava alla sommità un microscopico uncino, capace di incastrarsi praticamente ovunque trovasse una appiglio naturale. Fu così che dall’osservazione di questo fenomeno nacquero le strisce di velcro che tutti noi conosciamo: semplici strisce in nylon combinate, una in tessuto peloso e una munita di tanti piccoli uncini che si attaccano saldamente all’asola, riproponendo il meccanismo di “cattura” osservato in natura.

Eastgate Building Centre di Harare

Un altro esempio affascinante ce lo offre una vera meraviglia dell’architettura green, l’Eastgate Building Centre di Harare, capitale dello Zimbabwe. L’edificio, centro polifunzionale che ospita uffici ed un immenso centro commerciale, è stato realizzato dall’architetto Mick Pearce in collaborazione con lo studio ingegneristico Arup, e, a dispetto del clima e del luogo in cui si trova, non presenta alcun sistema convenzionale di ventilazione: nel realizzarlo, infatti, sono stati applicati i principi dell’auto raffreddamento e della ventilazione osservabili nei termitai, le tane delle termiti africane. La temperatura fresca e costante è garantita da una serie di canali scavati nel sottosuolo, dei camini laterali, che creano un ambiente ventilato, nonché da un tunnel centrale. In questo modo, l’Eastgate Centre usa almeno il 10% in meno dell’energia che un edificio di quelle dimensioni normalmente consuma, incarnando un affascinante esempio di efficienza energetica ispirata dalla natura.

Geko Tape

C’è poi il cosiddetto Gecko Tape, un materiale altamente adesivo in fase di sviluppo, che permetterebbe a persone ed oggetti di muoversi su superfici lisce o verticali sfruttando la sua capacità di presa e di rilascio a seconda della direzione del carico. Ispiratore è stato – come dice il nome stesso – un animale: il geco, infatti, è in grado di arrampicarsi su qualsiasi superficie solida, indipendentemente dal suo orientamento, grazie alla miriade di peli microscopici che ricoprono le sue zampe. È indubbio che le applicazioni di un prodotto del genere possano essere estremamente utili nei campi più disparati.

Lotus Effect e la superidrofobia

La pianta del Loto ci può insegnare qualcosa, e quel qualcosa ha già un nome: superidrofobia. Le foglie di Loto sono dotate di microscopiche sporgenze che rendono la loro superficie simile alla cera, respingendo l’acqua e con essa anche lo sporco: rotolando via, le gocce d’acqua intrappolano, infatti, le particelle estranee e le trascinano via con sé. Inutile dire che su questa proprietà stanno lavorando in moltissimi tra ricercatori ed aziende, che aspirano così a creare materiali idrorepellenti ed autopulenti. Fra le soluzioni che sono state commercializzate negli ultimi anni va citata Lotusan, una pittura “autopulente”, realizzata riproducendo, appunto, la caratteristica naturale che hanno le foglie della pianta di pulirsi in modo autonomo.

Fotosintesi e biofotovoltaico

La fotosintesi è un fenomeno che si studia abitualmente sui libri di scuola per capire come fanno le piante a trasformare energia solare, acqua e biossido di carbonio (CO2) in carboidrati, rilasciando ossigeno e utilizzando la clorofilla. Essa è un meccanismo a dir poco affascinante, la cui riproduzione artificiale potrebbe consentire di progettare oggetti capaci di catturare l’energia solare e di utilizzarla, producendo quelli che potrebbero essere definiti “combustibili solari”, derivati dalla scomposizione dell’acqua in ossigeno ed idrogeno. In questo senso, molti studi sulle celle solari organiche si stanno ispirando a questo principio.

Fili di seta modificati geneticamente

Fra le invenzioni più recenti ci sono, invece, un composto di chitosano realizzato con frammenti di conchiglie modificate chimicamente per ricavarne proprietà diverse e che viene stampato da un robot, dando vita a una pasta utilizzabile per applicazioni diverse, come, ad esempio, gli infissi. Sempre in ambito edile si inserisce l’innovazione biomimetica realizzata a partire dai fili di seta prodotti da bachi, che vengono poi modificati geneticamente e lavorati da un braccio robotico, ottenendo un materiale plasmabile ed ecosostenibile con cui realizzare strutture o elementi costruttivi.

Gli esempi potrebbero continuare allinfinito, come infinite sono le lezioni di Madre Natura. Ogni dettaglio di quella natura, che troppo spesso si dà per scontata e si pretende di conoscere, nasconde, infatti, formule di equilibrio e insegnamenti silenziosi.