Ridurre i rischi dell’esposizione umana all’elettrosmog in ambienti indoor: è questo l’obiettivo del presente articolo.

Un’intervista a Roberto Venturi, tecnico geopatologo e ricercatore indipendente, che da oltre dieci anni analizza case, uffici e aziende per capire quali sono i punti di emissione più nocivi all’interno di quegli ambienti in cui le persone passano la maggior parte del proprio tempo, è stata utile per comprendere meglio ciò che di invisibile e nocivo si può trovare in questi spazi chiusi.

Rispetto alla sua esperienza diretta, ciò che dichiara di incontrare maggiormente nei suoi rilevamenti è «una presenza importante di basse frequenze (50 Hz), cioè di campi elettromagnetici generati da utilizzatori collegati alla 220 volt. Spesso le persone non sanno che l’alimentatore del telefonino, o quello della radiosveglia, hanno all’interno un trasformatore, che, per abbassare la tensione della 220 volt, trasforma l’energia in calore e in onde elettromagnetiche. Ogni trasformatore, quindi, produce onde elettromagnetiche che, se troppo vicino alle persone, possono influire sul loro sistema ghiandolare e immunitario».

Parlando, invece, di come la scienza ufficiale valuta questo tipo analisi, Venturi afferma che «a livello scientifico ci sono limiti prestabiliti decisamente alti rispetto a quelli che possono influire negativamente sugli organismi viventi». Inoltre, prosegue, dicendo che ha notato che «le persone hanno reazioni e problemi di salute legati a emissioni con valori molto al di sotto delle soglie permesse dalla legge vigente». Un esempio che porta a tal proposito è come le basse frequenze si misurino in microtesla. «Secondo la normativa vigente, se si permane in un luogo oltre quattro ore, il valore di emissioni non dovrebbe superare i 10 microtesla. Di fatto, però, io ho notato che nel tempo si manifestano fastidiose reazioni del corpo già con emissioni molto più basse di 10 microtesla».

Ma cosa accade nelle persone che vivono o lavorano in ambienti esposti a campi di questo tipo? «Le persone esposte spesso riportano problemi di malessere generale, o anche patologie gravi, che, inizialmente, pensavo non potessero essere collegati all’inquinamento elettromagnetico. Solo dopo anni di casistiche mi sono reso conto che spesso persone ipersensibili hanno reazioni anche a campi elettromagnetici molto bassi. Le basse frequenze sono spesso associate a problemi di tiroide, disturbi del sonno, cervicali, mal di testa e disturbi nervosi. Ho visto anche problemi in bambini esposti a campi elettromagnetici che si sono risolti con semplici accorgimenti e spostamenti di lettini nelle zone meno esposte alle basse frequenze e ai nodi di Hartman [una griglia di passo 2 m per 2,5 m che ricopre interamente il pianeta Terra e che esce radialmente da esso, n.d.r.]. Se aggiungiamo alle alte/basse frequenze la presenza in contemporanea di nodi di Hartmann, allora i sintomi possono essere amplificati. Dormire su un nodo di Hartmann essendo anche esposti a basse frequenze (per esempio, sparate dalle abat-jour sul comodino, dalla radiosveglia, dai fili nei muri, dai cablaggi nelle pareti, ecc.) può creare problemi di sonno e, a lungo andare, di salute. Di notte il sistema immunitario è più vulnerabile alle interferenze elettromagnetiche. A volte, basta far staccare le spine delle lampade, allontanare il letto dal muro e staccare la radiosveglia o altri utilizzatori elettrici nelle immediate vicinanze per ritrovare sonni sereni. Spesso vedo addirittura i fili della luce arrotolati nella struttura del letto (in ferro), che, si trasforma, quindi, in un conduttore di campi elettrici, una vera e propria gabbia di Faraday (qualunque sistema costituito da un contenitore in materiale elettricamente conduttore in grado d’isolare l’ambiente interno da un qualunque campo elettrostatico presente al suo esterno, per quanto intenso questo possa essere)».

Venturi spiega, poi, che è possibile schermare questi campi elettromagnetici. In particolare, «esistono dispositivi di diverso tipo da acquistare, ma va valutato se ne vale la pena. A volte, può bastare usare dei disgiuntori per interrompere la linea elettrica dove si dorme. In altri casi, questo non è sufficiente, quindi ogni caso va valutato a sé. Nelle case di recente costruzione, per esempio, sono previsti dei sistemi che permettono di togliere la corrente solo a determinate stanze».

Il decalogo per ridurre l’esposizione ai campi elettromagnetici

In generale, quindi, più è elevata la potenza dei campi elettromagnetici, maggiore è la sollecitazione sul corpo umano. Nel dettaglio, specificano gli esperti, maggiore è la distanza che l’onda elettromagnetica deve percorrere, maggiore è la potenza che occorre fornire: è come se, per farci sentire ad una distanza più ampia, alzassimo la voce. Il corpo è sollecitato, in casa, come già citato, da molte sorgenti a bassa intensità (ad esempio, la rete Wi-Fi) e da poche sorgenti ad alta intensità (ad esempio, il cellulare in fase di chiamata). Il tempo di esposizione ai campi elettromagnetici è un moltiplicatore degli effetti inquinanti, pertanto è indispensabile valutare in modo accurato il livello di esposizione nei luoghi in cui si permane consecutivamente per molte ore.

In quest’ottica, la SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale) ha redatto un decalogo in cui vengono elencate alcune misure e comportamenti pratici che i cittadini possono decidere di adottare ai fini della riduzione dell’esposizione ai campi elettromagnetici non ionizzanti. La SIMA precisa che si tratta solo di consigli.

1) In caso di eccessivo utilizzo del forno a microonde, evitare la permanenza in sua prossimità;

2) collocare i babyphone a distanza dal lettino e programmare l’unità per il controllo del bambino sulla funzione di attivazione vocale;

3) impiegare le apparecchiature elettriche ed elettroniche alla massima distanza possibile;

4) evitare di dormire tenendo lo smartphone, magari anche in carica, e altri dispositivi elettronici (radiosveglia, segreteria telefonica, ecc.) poggiati sul comodino vicino a noi;

5) non tenere inutilmente accesi, in ambienti domestici di lunga permanenza, apparecchi elettrici ed elettronici;

6) introdurre i bambini all’utilizzo di apparecchiature elettriche ed elettroniche, incluso i telefoni cellulari, il più tardi possibile. In questo modo si possono ridurre i tempi di esposizione nelle nuove generazioni per le quali l’esposizione inizia in età precoce rispetto alle generazioni precedenti;

7) utilizzare i telefoni cellulari in condizioni di alta ricezione del segnale e in zone ad alta copertura delle reti di telefonia mobile. Preferire chiamate brevi e, in caso di lunghi colloqui, utilizzare auricolari e sistemi vivavoce. Preferire telefoni cellulari di recente generazione che sono caratterizzati da un assorbimento elettromagnetico più basso;

8) limitare l’uso del telefonino, del computer portatile e del tablet con scheda Wi-Fi attivata all’interno di un’auto in movimento;

9) posizionare le antenne dei sistemi Wi-Fi, Bluetooth e reti senza fili in ambienti domestici meno frequentati. Nell’uso del laptop, si consiglia di interrompere la connessione Wi-Fi per evitare che la continua ricerca di una rete generi inutili esposizioni;

10) progettare la struttura dei luoghi e delle postazioni di lavoro, così come delle abitazioni civili, in modo tale da minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici.