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In Italia abbiamo oltre 6 milioni di beni immobiliari non utilizzati o sottoutilizzati. Ex fabbriche, capannoni dismessi, vecchie scuole, cinema e teatri abbandonati, e molto altro: un patrimonio dimenticato, che potrebbe essere sfruttato per frenare un consumo del suolo legato alla forte urbanizzazione degli ultimi 70 anni. Un fenomeno, quest’ultimo, cresciuto, dal 1948 al 2014, del 400%, 20 volte di più rispetto all’aumento della popolazione, passata da 47 milioni a solo 60 milioni. Sono numeri che riporta Fondazione Riusiamo l’Italia, realtà che promuove la riqualificazione, temporanea o definitiva, di questi spazi attraverso un lavoro di mappatura e creando reti tra istituzioni, aziende e cittadini attivi.

Il consumo di suolo in Italia e i riflessi sull’ambiente

Secondo l’ultimo rapporto Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), Il consumo di suolo in Italia 2020nel 2019 sono spariti 57 milioni di metri quadrati di superfici naturali o agricole, vittime della cementificazione. Una conversione che va avanti al ritmo di 2 metri quadrati al secondo, il tutto con gravi ripercussioni sull’ambiente. Tra queste, l’aumento del rischio idrogeologico a causa di terreni non più in grado di assorbire precipitazioni sempre più improvvise e abbondanti, come hanno dimostrato i fenomeni degli ultimi anni, e l’aumento del rischio di allagamenti e alluvioni. Un altro esempio è il contenimento delle temperature, soprattutto nei grandi centri urbani: con la scomparsa di spazi verdi si perderà anche il loro effetto mitigatore sul clima e i cittadini saranno costretti ad abitare in città “forno”.

Il recupero degli edifici abbandonati in ogni area d’Italia può, dunque, contribuire a frenare questa reazione a catena. Una buona parte dei fondi europei del Recovery Fund, il piano di sostegno economico per la ripresa post-COVID, dovrà essere destinata a interventi in materia di ambiente. Di conseguenza, è lecito aspettarsi nei prossimi anni una maggiore attenzione verso il tema della riqualificazione immobiliare e, di pari passo, una crescente richiesta di professionisti che sappiano avviare e coordinare questi processi.

Cosa fa il tecnico di riuso e rigenerazione urbana

Ecco perché tra i molti lavori green che emergeranno c’è anche il tecnico di riuso e rigenerazione urbana sostenibile. Si tratta di una figura dalle competenze multidisciplinari, in grado di ricoprire più ruoli e adattarsi a diversi contesti: da libero professionista alla ricerca di spazi da recuperare a mediatore tra comuni e cittadini attivi con un progetto di riqualificazione da presentare, da tecnico all’interno di studi di architettura e ingegneristici a consulente nelle amministrazioni pubbliche per l’interpretazione delle normative in materia. Nel costruire e realizzare i progetti seguiti, sarà chiamato ad applicare i principi di materie che saranno sempre più centrali, in primis quelle della bioarchitettura e delle pratiche sostenibili.

Un esempio concreto del lavoro del tecnico di riuso e rigenerazione è, ad esempio, la valutazione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM), requisiti di base stabiliti dal Ministero dell’Ambiente per individuare la soluzione progettuale migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita di un’opera. “Le amministrazioni pubbliche spesso non sanno maneggiare questo strumento – fa presente Roberto Tognetti, direttore di Fondazione Riusiamo l’Italia –. Avere dei tecnici che lo sanno fare e lo sanno fare bene, in maniera non burocratica, significa avere un’accelerazione incredibile nel processo”.