Tratto da Traccani.

Strategie

Per affrontare le questioni che legano il design del prodotto ai problemi ambientali è necessario mettere in discussione alcuni fondamenti del design contemporaneo. Le esigenze ambientali sono diventate suoi prerequisiti, e i progetti futuri dovranno scaturire sempre più dallo studio delle richieste funzionali, semantiche e ambientali che possono nascere dal rapporto tra l’uomo e il territorio in cui vive. Dopo decenni di intenso dibattito, si può oggi affermare che la tematica ambientale è diventata motore di sviluppo economico e di innovazione scientifica e tecnologica, ma non sempre propulsore per la produzione di nuove tipologie di oggetti, propositive di stili di vita più ecocompatibili. È essenziale, perciò, ripensare ad alcuni principi dell’innovazione, come la funzionalità, il simbolismo, la cultura e la tecnica produttiva, e indirizzare il progetto verso un’etica attenta alla qualità della vita e degli artefatti umani, all’interno di un ecosistema complesso e sensibile. Le macroaree di interesse, in cui i prodotti industriali hanno trovato maggiori applicazioni e più ampio sviluppo, sono l’utilizzo di tecnologie innovative di supporto alle scelte e alle attività umane, il trattamento e l’uso delle fonti materiche ed energetiche.

La tecnologia

Rispetto al design e alla questione ambientale, la tecnologia assume un ruolo importante: a essa è strettamente connesso il prodotto industriale, e gli oggetti presentano, da sempre, un contenuto tecnologico che si riferisce al processo produttivo, all’architettura dell’oggetto o alla sua funzionalità. Quello che appare attualmente rilevante è la moltiplicazione e l’invasività delle tecnologie, il loro nuovo modo di manifestarsi (virtuale e dematerializzato) e ciò che tali caratteristiche determinano nei comportamenti e nel processo globale del progetto.

Come scrive Donald A. Norman, «la sfida sta nell’arricchire le nostre vite di dispositivi intelligenti capaci di accompagnarci nelle nostre attività, dotati di capacità complementari alle nostre, capaci di farci avere più risultati, più benessere, più scelte, non più stress» (2007).

Scienza e tecnologia possono essere strumenti possibili per affrontare i problemi ambientali e sociali, e, al tempo stesso, per soddisfare le esigenze e i bisogni della società contemporanea, ma sono ancora troppo ‘‘energivori’’ e altamente impattanti. Le grandi sfide, le scoperte scientifiche e le innovazioni tecniche, inevitabilmente legate al mondo degli artefatti, hanno ricadute anche sui nostri comportamenti: assume un ruolo determinante il progettista capace di gestire le novità tecnologiche, di trovarne applicazioni inedite e di orientare la ricerca nelle direzioni più corrette, al fine del soddisfacimento di bisogni reali e secondo un’ottica di sostenibilità. Come Nokia Morph, il nuovo concept proposto nel 2007 dal Nokia Research Center (NRC) in collaborazione con il Nanoscience Centre dell’Università di Cambridge: un telefono cellulare innovativo non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche, e soprattutto, per i nuovi comportamenti che suggerisce e per lo scenario che prefigura. Attraverso l’uso della nanotecnologia − disciplina che si occupa della materia su una scala inferiore al micrometro − il classico apparecchio di comunicazione mobile diventa estremamente versatile, sia nella forma sia nella funzionalità, permettendo la flessibilità dei materiali, la trasparenza dei componenti elettronici e l’autopulizia delle superfici. La tecnologia applicata a una scala così ridotta, come le nanoparticelle, consente ai materiali e alle componenti del cellulare di essere flessibili, elastici, trasparenti e, soprattutto, resistenti. L’elettronica integrata presente nel progetto, pur aggiungendo molte funzionalità in uno spazio più ridotto, non è più costosa di quella tradizionale, e garantisce un migliore utilizzo dell’interfaccia. La superficie, studiata al ‘‘nanodettaglio’’, è, come s’è detto, autopulente e riduce la corrosione, proprio come farebbero dei ‘‘nanofiori’’ che respingono naturalmente l’acqua, lo sporco e le impronte digitali. In questo modo, si ottengono buoni risultati, sia dal punto di vista estetico, sia da quello ambientale, perché si allunga la vita del prodotto, disincentivando la sostituzione compulsiva di un oggetto ancora funzionante. Quest’ultimo è solo uno degli aspetti che rendono il concept attento ad assolvere anche a esigenze di tipo ambientale. Infatti, la superficie riesce a catturare l’energia solare come se fosse un ‘‘nanoprato’’ e a immagazzinarla in piccole e sottili batterie. Questa tecnologia integrata all’oggetto costituisce un ulteriore progresso rispetto ad alcuni attuali telefoni cellulari con possibilità di ricarica della propria batteria attraverso apparecchi esterni alimentati a energia solare. Inoltre, i materiali utilizzati sono biodegradabili e rendono le fasi di produzione e di dismissione dell’oggetto, facili ed eco-friendly. Il telefono cellulare è dotato di nanosensori che sono in grado di testare le condizioni ambientali esterne, come l’inquinamento dell’aria, individuando sostanze nocive per l’uomo. Tale nuova capacità permette di monitorare in modo facile e immediato l’ambiente che ci circonda, oppure di valutare, semplicemente, se un cibo, per esempio una mela, che siamo in procinto di mangiare, sia sufficientemente pulito. Nell’ottica di un cambiamento profondo di approccio e di relazione con il mondo circostante, che veda coniugati il benessere dell’uomo e quello dell’ambiente, Morph fornisce una serie di dati che consentono all’utente di prendere decisioni consapevoli a favore di una migliore qualità di vita.

Nel 2015, secondo le previsioni di Nokia, un’applicazione palmare integrata è stata prevista per concretizzare tutte le peculiarità di questo concept, che era, inizialmente, solo un’ipotesi progettuale. La progettazione di prodotti nanotecnologici (molti ancora in fase di prototipo) prevede, invece, che il comportamento degli oggetti, fino addirittura alla loro trasformazione, venga definito sulla base delle informazioni rilevate dai sensori presenti nei materiali: oggetti dotati di una pelle come quella degli uomini che reagisce ai cambiamenti del clima, accumulando o disperdendo energia termica del Sole in relazione alle stagioni e al passaggio dal giorno alla notte; prodotti che reagiscono ai comportamenti degli utenti, capaci addirittura di far scivolare via lo sporco (portando così a una riduzione di manutenzione e lavaggio con detergenti inquinanti). Le nanotecnologie possiedono le potenzialità per condizionare profondamente l’evoluzione dei prossimi secoli, e il loro sviluppo in senso sostenibile è un aspetto determinante. Appare, dunque, necessario valutarne l’eventuale tossicità, capire la disponibilità di metodi per prevedere e soppesare il possibile impatto sull’ambiente e sulla salute dei nanomateriali (e, quindi, degli oggetti) nel loro ciclo di vita.

Il concetto di automazione e le tecnologie per gestire, al posto dell’uomo, alcune funzioni, sono al centro degli interessi progettuali contemporanei, e hanno sovente un ruolo importante nell’utilizzo delle risorse e nella riduzione degli sprechi. Tali tecnologie possono essere fondamentali anche per definire nuovi modi di progettare le case, gli uffici e gli oggetti in essi contenuti: si parla di home o building automation, ovvero di sistemi di automazione (domotica) che permettono di controllare e gestire in modo intelligente gli impianti, in un’ottica di energy saving, associando benessere e risparmio energetico. Per questi sistemi i designer sono impegnati, e lo saranno sempre più, nella progettazione delle funzioni/comportamenti e delle interfacce uomo/tecnologia.

Tra le tecnologie più recenti, e per questo non ancora sicure in un’ottica di sostenibilità, vi è il Radio Frequency Identification tag (RFID tag), che avrà un notevole impatto sulla progettazione e produzione degli oggetti futuri. Si tratta di un sistema per l’identificazione automatica di oggetti o persone, evoluzione del codice a barre o delle bande magnetiche, che si basa sulla lettura a distanza, da parte di appositi strumenti, di informazioni contenute, appunto, in un RFID tag. Quest’ultimo è costituito da un microchip contenente dati (tra cui un numero univoco universale scritto nel silicio), un’antenna ed, eventualmente, una batteria. Un tag è in grado di ricevere e di trasmettere via radiofrequenza le informazioni contenute nel chip a un ricetrasmettitore, dotando, quindi, l’oggetto di una memoria storica per tutte le fasi della sua esistenza: chi lo ha prodotto e in che modo, chi lo ha posseduto e come lo ha trattato, e così via. Può diventare uno strumento necessario per conoscere tutte le caratteristiche di un oggetto e per trattarlo di conseguenza in fase di acquisto, distribuzione e, in particolare, a fine vita.

Una questione fondamentale legata all’innovazione è la necessità di condividere la conoscenza: solo così la tecnologia potrà avere un impatto significativo sulla causa ambientale. Siamo abituati a ragionare sulla cooperazione globale in aree come la politica monetaria, il controllo delle malattie o la proliferazione delle armi nucleari. Siamo, invece, meno abituati a pensare alla collaborazione per promuovere nuove tecnologie, come le energie pulite, il vaccino per la malaria o le coltivazioni resistenti alla siccità per gli agricoltori africani. Per di più, siamo soliti considerare le nuove tecnologie come qualcosa che deve essere sviluppato in termini di mercato e non come opportunità per la risoluzione di problemi globali.