L’obbiettivo della ricerca, in particolare, è quello di sviluppare una nuova tecnica di stampa 3D (tre dimensioni), sfruttando materiali di scarto provenienti dalle comuni operazioni di scavo del marmo. Le polveri di marmo vengono completamente riciclate, evitando così il processo di smaltimento complesso e dal costo elevato.
Mescolando, infatti, le polveri a resine speciali e catalizzandole con raggi UV, si ottiene un materiale ottimo per la stampa 3D, con la massima attenzione per la salvaguardia dell’ecosistema e di quei territori dove la produzione industriale di massa è maggiormente ubicata. Un progetto così innovativo è stato messo in atto da un team di quattro persone con esperienze in diversi campi, ma che condividono, allo stesso tempo, interessi ed obbiettivi comuni. Per saperne di più, sono state rivolte loro – in particolare, a Michela Ruggiero – delle domande.
Come è nata l’idea della realizzazione della stampa 3D tramite materiale riciclabile?
«Il mio sogno è sempre stato quello di dare una seconda vita agli oggetti realizzando creazioni originali invece di farli diventare banali rifiuti. Un nuovo approccio che, secondo me, può esaltate il valore del risparmio, della cura delle cose, del rispetto dell’ambiente. Il 3D printing permette di ampliare questo sogno ad ambiti diversi».
Perché è stato scelto proprio il marmo come materiale di scarto riutilizzabile, rispetto ad altri?
«Il territorio dal quale proveniamo ha subito negli ultimi decenni un forte impatto ambientale causato dalla escavazione e dalla lavorazione industriale del marmo. La melma e gli sfridi che si creano diventano, infatti, una polvere sottile, molto difficile e costosa da smaltire. Eppure, si tratta di un materiale praticamente puro. Attraverso il nostro progetto, noi vogliamo creare un percorso di sostenibilità ambientale che rilanci il comparto in maniera ecologicamente sostenibile».
Qualche dettaglio tecnico sul processo di stampa?
«La nostra stampante 3D deriva dalla tecnologia FFF (Fused Filament Fabrication), sviluppata inizialmente da Prusa, con diverse soluzioni tecniche, che, però, sono state appositamente progettate allo scopo di migliorarne le qualità di stampa. Infatti, la risoluzione finale della stampante è notevolmente aumentata rispetto ai prototipi originali, consentendo la produzione di oggetti di alta qualità».
Quali sono i costi per la realizzazione di tale processo?
«Il materiale che usiamo finirebbe dritto in discarica, trattato come un rifiuto speciale. Quindi, si tratta, evidentemente, di un prodotto “a buon mercato”. Poi, ovviamente, la lavorazione necessaria al riciclo comporta dei costi, così come anche la stampa 3D. A conti fatti, però, i costi sono piuttosto contenuti».
In quali settori, in particolare, potrebbe essere applicata la stampa 3D con polveri di marmo? O quali industrie potrebbero sfruttare al meglio questo tipo di stampa?
«Il prodotto finale è un nuovo materiale dalle applicazioni sostanzialmente illimitate. Si va dall’architettura al design, dall’arte all’industria, fino ad arrivare all’oggettistica e alla moda».
Pensando al futuro… A cosa potrebbe portare tale progetto, soprattutto dal punto di vista della sostenibilità ambientale?
«Mi piace pensare di poter raggiungere l’idea di un ciclo produttivo chiuso, in cui ogni distretto industriale riduca al minimo i materiali di risulta e la produzione di rifiuti da discarica. Questo vorrebbe dire che stiamo producendo, ma senza devastare il nostro ambiente. Credo che questo sia l’unico futuro possibile».